Alimentazione consapevole: facciamo chiarezza
Feb 25, 2021Nel precedente articolo “La meditazione è necessaria per un’alimentazione consapevole?” si richiamava la connessione tra meditazione e alimentazione consapevole come qualcosa che non è un’invenzione moderna, sotto l’etichetta di mindful eating.
Ma è qualcosa che ha invece a che fare con una saggezza pratica molto profonda, presente negli stessi insegnamenti antichi del Buddha.
“Filosofia” buddhista e mindful eating: le radici storiche
Come riportato in uno dei cosiddetti “discorsi affini”, citato in un recente libro del grande maestro di mindfulness Bikkhu Analayo, il Buddha, invitato dal re Pasenadi, mette in guardia quest’ultimo rispetto ai suoi eccessi nel mangiare attraverso alcune indicazioni sulla consapevolezza del cibo che il re dovrà tenere a mente. E che in effetti il re mette in pratica con l’aiuto di un giovane membro della sua corte che gliele ripete a ogni pasto. (Su questo argomento leggi anche: Quando ti senti stressato o stressata mangi di più?)
Consumare pasti attivando la consapevolezza tiene lontani gli eccessi e le abbuffate
La morale della favola (una favola a lieto fine, dato che il re ritrova la sua forma fisica e la sua lucidità) è che la consapevolezza va esercitata nell’atto stesso del mangiare, in termini non di controllo ma di semplice, diretta, attenzione a tutto ciò che accade durante un pasto, prevedendo le conseguenze degli eventuali eccessi nell’assunzione di cibo.
Mangiare è un’azione semplice o complessa?
È ovvio che il mangiare è un’azione complessa, articolata in numerosi passi cui troppo spesso, oggi come duemilacinquecento anni fa, non poniamo sufficiente attenzione. Non consideriamo, ad esempio, che alcune componenti del mangiare sono presenti ben prima del pasto (o dello snack), quando cominciano a farsi sentire gli stimoli di una fame che spesso è solo nervosa, che “anticipa” emotivamente l’atto del mangiare.
Essere presenti durante l’intero atto del mangiare
Inoltre, nel mangiare in modo occasionale, o anche a tavola come è il caso del re Pasenadi, in genere non c’è consapevolezza rispetto ai diversi singoli atti di cui è composta l’azione complessiva del mangiare: prendere un pezzo di cibo dal piatto, portarlo nella bocca, assaporarlo. E poi: masticare molte volte, deglutire, avvertire il percorso del bolo verso lo stomaco, attendere prima di affondare la posata nel pezzo successivo (considerando attentamente la sua dimensione).
Il segreto è nel rallentare
Questi aspetti, evocati anche se non descritti nelle indicazioni al re mangiatore compulsivo, sono considerati nel libro di Bikkhu Analayo come step di quella particolare pratica meditativa che è la meditazione del cibo: una pratica, basata sul rallentamento del processo di ingestione, che ovviamente non si può fare tutti i giorni, ma che sarebbe utile attivare con una certa regolarità. (Su questo argomento leggi anche: Come riuscire a controllarsi durante i pasti)
Il mangiare stesso può diventare una pratica di meditazione
Si tratta di una pratica benefica non solo quando si riesce a metterla in atto, ma anche in modo differito, in quanto è in grado di innescare un ricondizionamento del rapporto con l’atto del mangiare che può riemergere anche durante i pasti normali, consumati in modo non consapevole, ad esempio conversando con amici o in compagnia dei nostri pensieri durante i pasti solitari. E che può fungere da richiamo subliminale rispetto all’attivazione degli stimoli della fame che richiedono una soddisfazione immediata.
Ricondizionare il rapporto con l’atto del Mangiare
Analayo fa chiarezza su questa pratica sottolineando l’importanza della lentezza e dell’assaporare: aspetti che hanno riscontri anche nelle raccomandazioni degli esperti di alimentazione, basate su dati scientifici. Ad esempio quelle che riguardano la ptialina, una sostanza presente nella saliva grazie alla quale il processo digestivo si avvia già nella bocca e che richiede un certo tempo per irrorare efficacemente il bolo.
Dicevano i vecchi dottori: la prima digestione avviene in bocca
Il punto di vista medico è integrato dal maestro di meditazione vipassana con il richiamo al modello “diagnostico” che sottende un fondamentale insegnamento del Buddha, quello delle cosiddette “quattro nobili verità”, riferito alla condizione umana nel suo complesso.
Disattivare l’impulso a mangiare in eccesso riconoscendo le 4 verità fondamentali dell’esistenza
La prima “nobile verità” verte sulla sofferenza come caratteristica della vita umana. La sofferenza è originata da bramosie che sempre sono riconducibili alla condizione umana (seconda nobile verità), le quali possono essere condotte a cessazione (terza nobile verità) seguendo un sentiero di saggezza e liberazione (quarta nobile verità).
L’osservazione meditativa come modello “diagnostico”
Questo modello è detto “diagnostico” in quanto si avvia con una diagnosi che accerta un male e le sue possibili ripercussioni, prosegue con l’individuazione di una eziologia (diagnosi) riguardante le cause di quel male, stabilisce una prognosi riguardo alla possibilità di ridurre il male e infine definisce un appropriato piano di cura.
La “cura” del mangiare consapevole
È un modello che può fare chiarezza sulla questione del mangiare consapevole, e che sarà necessario riprendere per mettere in luce le connessioni tra tale questione e quella della condizione umana in generale. Nel senso che per avere successo nel disattivare comportamenti alimentari non funzionali, quando la causa di eccessi in senso di smodatezza o iper restrizione sia di natura nervosa o emotiva, l’attuazione di adeguate “strategie” di consapevolezza non potrà concentrarsi solo sulla sfera dei comportamenti alimentari ma su quella quella del riordino e del riequilibrio dei propri modelli di vita in generale. (Su questo argomento leggi anche: Perché la mindfulness può farti dimagrire)