La meditazione è necessaria per un’alimentazione consapevole?
Feb 15, 2021La pratica della meditazione è sempre più integrata, in tutto il mondo, in programmi che hanno diverse finalità.
Il “mangiare consapevolmente” o mindful eating è uno di questi programmi, insieme agli altri dedicati alla riduzione dello stress, alla genitorialità consapevole, al miglioramento della relazionalità e dell’efficacia nel lavoro, e a diverse altre finalità il cui elenco sarebbe abbastanza lungo.
Meditare per uno scopo?
Intorno a questi programmi si sono aperti dibattiti, anche molto intensi e argomentati, sulla legittimità e sull’efficacia del fatto che essi si basino su una pratica millenaria fondata su presupposti che trascendono la sfera dell’utile individuale.
Tale legittimità ed efficacia sono ovviamente sostenute dai promotori di cure e interventi mindfulness-based. Di contrario avviso, a partire da presupposti molto diversi tra loro e con alcuni buoni argomenti, sono i sostenitori di una mindfulness “pura” e non coinvolta negli attuali modelli di vita e di consumo (su questo argomento leggi anche: Perché si parla tanto di consapevolezza).
La mindfulness è buddhista o religiosa?
Si potrebbe pensare che i paladini di una mindfulness senza compromessi e senza utilitarismi siano soprattutto coloro che hanno scelto la via monastica in campo buddhista. Ma non è così. Un esempio importante è fornito dal maestro Analayo, prolifico e ultra-citato studioso dei fondamenti della disciplina buddhista, che nell’ultimo suo libro[1] ha dedicato proprio il primo capitolo al mindful eating. Il riferimento è a una breve storia[2] nella quale il Buddha si pone come insegnante di alimentazione consapevole per il re Pasenadi.
Buddha e l’alimentazione consapevole
Vedendo il re in affanno dopo un lauto pasto consumato troppo velocemente, il Buddha gli offre il seguente insegnamento. “Chi è costantemente consapevole conosce la misura rispetto al cibo che assume. I suoi toni emozionali si attenuano. Egli invecchia lentamente e si prende cura della propria longevità”.
Il re chiede quindi a un giovane della sua corte di memorizzare queste parole e di ripeterle sedendogli accanto durante ogni pasto. E promette di ricompensare il giovane per questo servizio.
Nel tempo, la pratica funziona. Il re, ritornato in forma, è immensamente grato al Buddha. Non ha dovuto fare sacrifici per migliorare la sua vita. Con la consapevolezza ha vinto senza fatica la sua voracità (su questo argomento leggi anche: Fame nervosa: che cosa sono i comfort foods?).
Meditazione e alimentazione consapevole (e laica)
Il commento di Analayo è interessante in quanto segmenta la breve storia – peraltro totalmente auto-esplicativa – in diversi punti che costituiscono utili riferimenti per i lettori moderni interessati alla utilità della meditazione rivolta a un’alimentazione consapevole. (Su questo argomento leggi anche: Perché la mindfulness può farti dimagrire).
Il mindfulness trainer
Il ruolo del giovane è assimilato da Analayo a quello di un mindfulness trainer che segue il suo cliente sulla base di indicazioni che richiedono di essere ripetute in modo appropriato e con continuità. E’ da questo, oltretutto, che dipende la correttezza etica del suo compenso.
Misurare il cibo e le emozioni
L’espressione “toni emozionali” di cui si parla nella quartina è riferita al “tono affettivo dell’esperienza” più che a un’emozione in senso stretto. Un tono affettivo che in questo caso è “spiacevole”: l’eccesso di cibo può essere spiacevole come la fame. Per questo bisogna “conoscere la misura” e stabilire la “continuità” della presenza mentale, al posto della “assenza mentale” che caratterizza il mangiare in modo emotivo, ossia per attenuare l’impatto delle emozioni disturbanti o per trovare conforto nel piacere del cibo come auto-gratificazione o “ricompensa”. (Su questo argomento leggi anche: Quando ti senti stressato o stressata mangi di più?)
Nei successivi commenti Analayo individua una continuità tra il “qui e ora” evocato dalla breve storia (laddove il re si fa assistere momento per momento nel suo pasto) e quello tipico degli approcci moderni alla consapevolezza (come il fatidico acino di uvetta che dà avvio al corso MBSR).
Portare presenza e consapevolezza nei nostri pasti
È il “qui e ora” che regola il pasto: ciascuno boccone occupa una serie di specifici spazi di tempo: portare il boccone alla bocca, masticarlo fino in fondo, assaporarlo, deglutirlo, sentirlo scendere verso lo stomaco. Questo è il pasto consapevole.
Il mindful eating è una pratica semplice e intuitiva
Nelle pagine di Analayo il mindful eating appare più che mai come una pratica molto diretta. Una pratica che – si potrebbe dire – si fa mangiando, non solo programmando il mangiare o riflettendo sul mangiare o ispirandosi a filosofie alimentari appropriate.
È ciò che permette alla più semplice e innata attività umana – approvvigionarsi di buona energia sotto forma cibo – di affermarsi nella sua immediata realtà e nel suo scopo finale: stare bene e produrre una vita possibilmente longeva.